Avancarica: il fucile Gibbs

sparare avancarica

Per sparare con successo a 1000 yard – che sono un po’ più di 900 metri – servono armi particolari, oggi come centocinquanta anni fa. Una di queste è senz’altro il fucile Gibbs, che fece la sua apparizione sui campi di tiro nel lontano 1865.

Le prime gare a 1000 yard, organizzate in Inghilterra, videro all’opera fucili derivati dall’Enfield P53 d’ordinanza che, con il suo calibro di .577 millesimi di pollici e la palla tipo Miniè o Pritchett, permetteva di arrivare alle distanze estreme ma la precisione lasciava sicuramente a desiderare: il nuovo sport, però, fece aguzzare l’ingegno a progettisti e costruttori. Molti sperimentatori capirono ben presto che per migliorare le performance dei tiratori servivano palle dall’elevata densità sezionale, il che richiedeva di ridurre il calibro in un intorno dei 45 centesimi di pollice e di realizzare palle pesanti più di cinquecento grani. Il problema, ora, era relativo alla stabilizzazione dei lunghi proiettili e alla facilità di pulizia dell’anima della canna, quindi uno dei campi in cui si ebbero numerose sperimentazioni fu proprio quello della rigatura. I migliori nomi dell’archibugeria britannica verificavano le loro idee sfidandosi in famosi match come quello di Cambridge e qui, nel 1865, un certo Sir Halford vinse a man bassa con un fucile costruito da George Gibbs di Bristol, destinato a diventare un nome famosissimo nel tiro a lunga distanza. Per il suo fucile Gibbs aveva adottato la rigatura progettata da William Ellis Metford, del tutto particolare sotto vari aspetti, tra cui l’utilizzo di principi poco profondi destinati a guidare una palla in piombo duro e un passo variabile: al tempo una vera rivoluzione. Le idee messe in pratica da Gibbs furono prese ad esempio da numerosi altri costruttori di grido, dando così vita da una nuova famiglia di fucili specializzati per il tiro a lunga distanza: ovvio che desiderando replicare un’arma simile, anche la nostrana Pedersoli abbia preso a modello proprio il Gibbs, proponendone esattamente l’estetica ma apportando stavolta sostanziali modifiche al calibro, .45 invece di .461, e alla rigatura, tradizionale a sei righe anziché di tipo Metford. Nonostante quello che pensavano a metà Ottocento, la rigatura “normale” stabilizza perfettamente le lunghissime palle cilindriche, grazie anche al passo corto di 1:18”, e la dimostrazione sta nel fatto che la replica di Pedersoli di quest’arma ha vinto di tutto e di più nei suoi primi dieci anni di vita, ma di questo parleremo tra poco, dopo aver esaminato nel dettaglio questo intrigante fucile.

Il Gibbs Pedersoli è disponibile in due calibri: .40 e .45

L’estetica

Ad un primo sguardo, il Gibbs sembra quasi sproporzionato a causa della lunghissima e massiccia canna cui invece corrisponde un’astina molto corta: si può ben dire che la canna è in pratica il fucile stesso, come è ovvio che sia in un’arma da tiro. Lo spessore della canna è elevatissimo e così il peso, d’altra parte il Gibbs era e rimane arma da utilizzare su un qualsiasi tipo di appoggio e da… maneggiare con attenzione: il forte sbilanciamento in avanti può far scivolare l’arma di mano durante piccoli spostamenti o aggiustamenti sul rest, e se pensate che stiamo esagerando, guardate le foto del nostro mirino con le viti piegate proprio a causa di un piccolo “scivolamento” durante la realizzazione delle foto stesse… Spettacolare la finitura della superficie della canna, che restituisce linee d’ombra perfettamente rettilinee e di tutta l’arma, meccanica e calciatura: un vero capolavoro.

L’acciarino è del tipo molla avanti ed esternamente non mostra alcun preziosismo particolare, anzi propone linee semplici e squadrate, quasi minimaliste nella parte anteriore, ma è al suo interno, dove conta, che troviamo soluzioni tecniche in grado di fornire uno scatto velocissimo e ripetibile,  il tutto con pesi di sgancio molto ridotti. I progettisti della Pedersoli hanno anche adottato accorgimenti che garantiscano la durata nel tempo senza rischio di deformazioni o usure anomale dei piani di contrasto: all’interno dell’acciarino troviamo infatti un “salterello” che allontana il controcane al momento dello sgancio, evitando fastidiose interferenze che a lungo andare potrebbero rovinare gli spigoli dei piani di lavoro. In definitiva il Gibbs è uno specializzato strumento da tiro in cui forme e meccanismi seguono la funzione ma presenta anche particolari esteticamente molto curati, come i riporti in legno scuro sul puntale dell’astina e sulla coccia della pistola, le belle venature del legno e la perfetta realizzazione delle superfici metalliche; anche nei piccoli particolari si riconosce la cura posta nella sua realizzazione: basta vedere le rosette metalliche che incorniciano il traversino di bloccaggio della canna e le loro viti di fissaggio, con gli spacchi perfettamente allineati. Le mire sono quelle presenti sulla produzione di punta della Pedersoli: diottra micrometrica e complesso mirino, anch’esso registrabile. Il mirino è in effetto un complesso apparato dotato di inserti intercambiabili e completato da una livella a bolla che consente di evitare inclinazioni durante il tiro; a corredo viene fornita una serie di inserti metallici di varia foggia che consentono di meglio adattare la propria arma al tipo di bersaglio. Tipica anche la diottra posteriore, che senza arrivare alla sofisticazione di una Soule permette di ingaggiare perfettamente i bersagli ben oltre i 1000 metri; è ribaltabile in avanti e presenta un fermo che consente di alzarla sempre nella stessa posizione e di tenerla perfettamente in asse con la linea di mira. Come noto uno dei punti dolenti dell’avancarica è la pulizia dopo gli spari: il Gibbs consente una rapidissima rimozione della canna, che potrà quindi essere pulita a fondo con tutte le cure del caso. Basta infatti estrarre la “chiavetta” anteriore, a metà astina, e sollevare la canna, separandola dal blocco di tenuta fissato stabilmente alla calciatura: sistema veloce e che consente di operare con con calma senza dover manipolare l’intero fucile.

Ma come spara?

Potremmo cavarcela con una sola parola: benissimo, ma vogliamo farvi partecipi dei nostri risultati su carta e … gong a lunga distanza. Abbiamo utilizzato le palle da 535 grani della stessa Pedersoli (codice 536-451) trafilate a .451 e ben ingrassate con il Lubriblack; come carica ci siamo avvalsi di 90-100 grani di Polvere Nera FFG. L’arma è di proprietà e nel tempo ha esploso tantissimi colpi su bersagli cartacei ma non siamo soliti conservare le rosate: al momento di completare il servizio abbiamo preferito goderci il fucile con tiri informali, sparando a gong metallici posti a 500 metri, il tutto con grandissima soddisfazione. D’altra parte che il Gibbs spari benissimo non dobbiamo certo dirlo noi: lo testimoniano i numerosissimi successi internazionali colti negli anni.

Quota mille: possibile?

Ma come è possibile che un “arnese” progettato oltre cento cinquant’anni orsono, possa essere utilizzato con profitto a mille metri, distanza che vede in difficoltà il .308 Winchester e non solo?

Anche se è bene precisare che le rosate ottenibili con le armi ad avancarica saranno sicuramente più ampie di quelle realizzabili con moderne e specifiche munizioni, resta comunque il fatto che con armi di concezione così vecchia è possibile colpire, e bene, un bersaglio a 1000 metri. Per chi passa ore ed ore a studiare i coefficienti balistici delle moderne palle da tiro, ad assemblare cartucce con cura certosina per avere velocità sufficienti alla bisogna e soprattutto uniformi, sembra impossibile che un grosso e tozzo proiettile, che parte a bassa velocità, sia in grado di dare le stesse soddisfazioni. Eppure è proprio così: cerchiamo di spiegare questo apparente paradosso. Sicuramente, a occhio, abbiamo la sensazione che un proiettile di grosso calibro pesante 30-35 grammi sia in grado di viaggiare meglio di uno più leggero e più piccolo, ma le cose non stanno esattamente così e l’impressione è corretta e valida solo i due proiettili hanno la stessa forma e la stessa velocità. Come noto, la capacità di un qualunque proiettile di attraversare l’aria viene espressa con un “numero magico”, il cosiddetto Coefficiente Balistico o CB, e a parità di forma e di materiale, un proiettile di calibro maggiore ha un CB superiore: nella formula entra il rapporto tra massa e superficie frontale, la Densità Sezionale, e la prima grandezza aumenta con il cubo del raggio mentre la seconda solo con il quadrato, per cui il rapporto cresce al crescere del diametro del proiettile. Palle dal profilo moderno, appuntite e boat tail, sono studiate per meglio adattarsi alle alte velocità ed il loro coefficienti balistici (secondo il modello G1), decrescono ma mano che la velocità scende, mentre palle dal profilo tondo e a base piana, al contrario, sono a loro agio a basse velocità e perdono punti al di sopra della soglia transonica. Le lunghe palle cilindriche utilizzate in armi come il Gibbs, che partono a circa 1.500 fps, hanno pertanto CB molto elevati in tutto il loro percorso verso il bersaglio e sono quindi in grado di viaggiare senza troppe perturbazioni, la personificazione del detto “chi va piano va sano e va lontano”. E con questo dovremmo aver spiegato il paradosso. Ma abbiamo ancora un dubbio. Ricordando che palle diverse ma con lo stesso CB che partano alla stessa velocità avranno la stessa identica traiettoria, vediamo che la Sierra 168 HPBT calibro .30 ha un CB superiore a .400 quando viaggia sotto i 1600 fps, mentre le palle del nostro Gibbs da 530 grani hanno un CB inferiore a .400. La prima ha quindi una traiettoria più tesa: chi vuole andare ad una gara a 900 o 1000 metri con il suo .308 così caricato?

La pesante palla del Gibbs, 535 grani flat base, vicino a due “performer” dei calibri .30, la Sierra 200 HPBT e la Hornady 208 AMax. Le due palle blindate hanno Coefficienti Balistici decisamente superiori anche alle basse velocità ma se spinte sotto i 1500 fps non sono certo in grado di dare alcuna soddisfazione oltre poche centinaia di metri: il CB non racconta tutta la storia e si devono fare i conti con altri aspetti, come ad esempio la stabilizzazione.

Armi civili e militari

Fin dalla loro introduzione, le armi da fuoco civili e militari hanno avuto evoluzioni separate a causa delle diverse esigenze che dovevano soddisfare. Il civile poteva valutare con calma se la propria arma era divenuta davvero obsoleta e se poteva permettersi di cambiarla, mentre in ambito militare vi era soprattutto una corsa per cercare di primeggiare o quantomeno per non restare indietro: se un qualsiasi esercito adottava un qualcosa che gli avesse permesso anche un minimo vantaggio, gli altri cercavano di seguirlo immediatamene, spesso anche al di là delle loro possibilità tecniche ed economiche. Gli eserciti cercavano poi la massima semplicità d’uso, una ricarica veloce e una gittata possibilmente superiore a quella dei potenziali nemici, il tutto anche a scapito della  precisione: d’altra parte fino agli ultimi decenni dell’Ottocento si prevedevano scontri frontali di grosse formazioni ed il fucile doveva essere soprattutto un robusto manico per la baionetta.

In ambito civile, invece, il fucile era primariamente lo strumento che permetteva di portare a casa qualcosa da mangiare: per l’attività venatoria la precisione era fondamentale ed anche con le prime rudimentali armi a pietra si adottarono accorgimenti tesi a migliorare gittata e precisione, come le palle con pezzuola e, soprattutto, la rigatura. Questa tecnica permetteva tiri precisi e lunghi, ma caricare un colpo richiedeva tempo e attenzione, fattori che fino all’arrivo delle palle tipo Minié limitarono la diffusione delle armi rigate in ambito militare. I tempi dell’evoluzione delle due tipologie di armi, militari e civili, furono quindi diversi e, ad esempio, la percussione ebbe immediata diffusione in tutti gli eserciti, mentre l’accensione a pietra continuò a lungo ad essere preferita nelle fila dei cacciatori e dei pionieri. Anche all’estremo opposto della storia delle armi ad avancarica si ebbe questo sfalsamento dei tempi: i militari passarono in pochissimi anni ai vantaggi della retrocarica fin da subito dopo la fine della Guerra di Secessione, mentre per i civili le avancariche ebbero ancora molto da dire in ambito venatorio e, soprattutto, in quello sportivo.

L’apice dei successi nel tiro a lunga distanza con le armi ad avancarica si posiziona negli anni ’70 ed ’80 del XIX secolo, quando ormai nessun esercito utilizzava più armi ad avancarica.

La fine dell’avancarica

Le prime cartucce metalliche appaiono, ancora una volta, durante la Guerra di Secessione, ma sono di limitata potenza dato che non si possono realizzare bossoli più capienti. L’evoluzione è però rapidissima e già nei primi anni ’70 arrivano munizioni di elevata potenza, come il 45/70 americano e i suoi derivati più lunghi, che permettono di costruire armi a retrocarica in grado di confrontarsi con gli speciali fucili ad avancarica nati per il tiro a 1000 yard: gli statunitensi adottano fin da subito queste nuove realizzazioni, ma i tiratori europei rimangono fedeli alle loro avancariche ancora per qualche anno. Il punto di svolta arriva però nel 1874, quando nella grande sfida di Creedmoor la squadra irlandese armata di Rigby ad avancarica viene sconfitta dagli americani con i loro Sharps e Rolling Block, camerati per modernissime cartucce a collo di bottiglia (44-90 Remington e Sharps, ben diverse nonostante il nome). I Rigby perdono per soli tre punti (931 a 934), ma questo evento rappresenta l’inizio della fine per i fucili ad avancarica, che nei match degli anni successivi verranno superati con margini sempre maggiori dalle armi a cartuccia metallica. Ora, dopo centoquaranta anni, tocca a noi appassionati di capsula e palla riportare sui campi da tiro i fasti delle migliori armi inglesi del tempo, oggi costruite magistralmente in quel di Gardone.