Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del Tar, che alla fine del 2022 aveva convalidato la decisione della questura di Lecce sul mancato rinnovo del porto d’armi a un cacciatore in ansia (o in affanno dopo le scale?) al momento del ritiro del documento.
Anche se per riuscirci occorre un discreto allenamento, quando ci si presenta in un ufficio di polizia conviene essere sereni nell’animo e nell’aspetto: è una massima confermata dalla sentenza 4361/2025 del Consiglio di Stato, che ha convalidato quanto deciso del Tar e negato il rinnovo del porto d’armi a un cacciatore pugliese (le generalità sono riservate: da qui in poi C.) che, convocato in questura per ritirare il documento, aveva suscitato qualche dubbio.
Già nell’atto di ricorso al Tar (risale a più di due anni fa; la vicenda addirittura al 2017) C. aveva detto di non aver ricevuto il libretto perché il personale dell’ufficio aveva equivocato il suo affaticamento, dovuto alla fretta con cui aveva salito la rampa di scale, interpretandolo come uno stato d’ansia.
Al Tar gli agenti della questura di Lecce avevano infatti dichiarato che C. s’era «presentato per il ritiro del titolo di polizia, ma all’atto d’apporre la firma sul documento non c’era riuscito perché colto da un evidente tremore, dovuto a suo dire a uno stato d’ansia»; dunque aveva chiesto di «sedersi, per potersi calmare e apporre la firma, cosa che riusciva a fare dopo circa mezz’ora» e «solo dopo aver effettuato diverse prove su alcuni foglietti in bianco».
Il questore aveva disposto un nuovo esame medico dinanzi a una commissione collegiale; decidendo di munirsi autonomamente del certificato, anche se rilasciato da una struttura pubblica, C. di fatto non ha seguito la procedura prevista dalla legge. L’autorità di pubblica sicurezza ha infatti il potere di disporre accertamenti medici supplementari.
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