Il Tar della Lombardia si è espresso sul caso di un collezionista al quale, dopo un furto, il ministero dell’Interno aveva contestato l’omessa custodia di armi antiche.
Per le armi antiche detenute in collezione non si può configurare la condotta di omessa custodia: lo scrive, citando quanto detto dal pubblico ministero (chiese l’archiviazione) nel corso del processo penale, il Tar della Lombardia (sentenza 1741/2025), che dunque ha accolto il ricorso di un collezionista contro il quale dopo un furto questura e prefettura avevano avviato il procedimento finalizzato alla revoca della licenza.
Peraltro l’omessa custodia è quantomeno eventuale. La questura aveva contestato l’assenza di sistema d’allarme, di videosorveglianza e di grate alle finestre; il fatto che alla stanza potevano accedere «sia la convivente, sia il domestico, sia la moglie del domestico»; la «semplice catenella di maglia e il lucchetto» per assicurare le armi alla rastrelliera e all’interno «di una vetrinetta di vetro». Per il Tar la lettura è impropria: la stanza era «protetta da vetri blindati e antisfondamento, chiusa a chiave»; e sono abbastanza sia la catena (catena, non catenella) sia il lucchetto.
Non è l’unico passaggio interessante: nella sentenza si legge, infatti, anche che «la detenzione di otto pistole non rientranti nella licenza di collezione non può ritenersi illegale»; si tratta infatti «di armi antiche e non di armi comuni, la cui aggiunta alla collezione non costituisce (peraltro) un cambiamento sostanziale soggetto a denuncia».
L’estratto della sentenza
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