Sig Sauer P250 DCc cal. 9×21 Imi, figlia del suo tempo

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Presente sul mercato già da qualche tempo, la compatta in sola doppia azione Sig Sauer P250 DCc cal. 9×21 Imi è una semiautomatica interessante per chi cerca alta sicurezza operativa e massima semplicità d’uso

sig-sauer-p250-dcc-cal-9x21-imiOgni medaglia ha due facce, così come ogni battaglia ha un vincitore e un vinto. Per presentare la semiautomatica Sig Sauer P250 DCc cal. 9×21 Imi partiamo da lontano, esattamente dal 1984, quando Beretta vince i Xm9 Service Pistol Trials con la sua Beretta 92 Fs, ribattezzata M9 dall’esercito americano. A contenderle la prestigiosa commessa ci sono vari concorrenti, tra cui la Sig Sauer P226, unica arma che – insieme a Beretta – riuscirà a completare con successo il collaudo. La storia dice che vinse Beretta e che il produttore in origine svizzero dovette consolarsi con alcune commesse “minori” per la stessa P226 (Navy Seals, Nypd e Fbi tra gli altri) e altre per la sua versione compatta (P228 – M11). La bontà del progetto aveva comunque avuto la sua consacrazione e ha successivamente portato successi e numerose varianti sviluppate sull’architettura della full size sviluppata negli anni ‘80 e tuttora in produzione.

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La posizione del grilletto denota immediatamente che la P250 è un’arma ad azione doppia; il grilletto è disponibile in due dimensioni tali da modificare il cosiddetto trigger reach

Tra queste, nel 2004 fu presentato allo Shot Show il modello P250 che doveva – se non essere il punto di sintesi di tutta l’offerta del produttore – rappresentare la sua interpretazione dell’arma da fianco del XXI secolo. Il progetto, certamente ambizioso, ruota attorno alla filosofia della modularità: “La ripetizione di una medesima forma o struttura che, grazie ad accorgimenti o accessori, consente varie possibilità di composizione” (Treccani docet). Il tutto si sviluppa attorno a un modulo in acciaio inox, battezzato in Sig Sauer “Fire Control Assembly”, unico elemento in origine serializzato, che permette di allestire la pistola adatta alle proprie necessità combinando la componentistica disponibile.

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Sotto al fusto è disponibile una slitta Picatinny atta all’applicazione di svariati accessori di puntamento e illuminazione

Il modulo incorpora il grilletto con la catena di scatto, il cane, le guide, l’hold open ambidestro, il perno che opera l’oscillazione della canna. È bene sottolinearlo, il cuore della P250 è asportabile dal fusto, elemento al quale è collegato mediante la sola chiave di smontaggio. L’operazione, semplicissima, consente di applicarvi una varietà di fusti e di carrelli. Il fusto, innanzi tutto. Realizzato in robusto polimero, essendo privato della sua funzione portante di elemento cui sono applicati molti dei principali elementi dell’azione di scatto, viene ad essere un mero contenitore, un guscio di fabbricazione tutto sommato economica assimilabile, là dove la legislazione è più liberale, a un semplice pezzo di… plastica sagomata.

Cucita su misura

La modularità del sistema prevede tre tipologie di fusto, che ricalcano le altrettante categorie di arma attualmente diffuse: si parte da un full size per arrivare – passando dalla versione compact – a quello subcompact. A ciascuna di queste tipologie corrispondono ulteriori sei variazioni ergonomiche, ricavate dalla combinazione tra tre dimensioni del diametro dell’impugnatura e due conformazioni del grilletto. Molto pronunciata l’elsa, così da garantire la miglior impugnabilità anche in azione e una buona dispersione del colpo d’ariete causato dal rinculo.

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Sulla destra del fusto è visibile il pulsante di sgancio del carrello e, mediante un’asola ricavata sul fusto, il numero di matricola inciso sul modulo operativo

A questo sistema si affiancano poi canne e carrelli-otturatori di lunghezza adeguata ai singoli fusti (per le canne: 119, 99 e 91 mm) e un’offerta di calibri che spazia tra i classici del XXI secolo: .380 Acp, 9 mm, .357 Sig, .40 S&W, .45 Acp. La modularità del sistema si propone, in soldoni, di soddisfare tutte le possibili esigenze operative (militari, di polizia e civili), con un’unica arma cui di volta in volta, al variare delle condizioni d’uso, possono essere applicate trasformazioni in termini dimensionali e di calibro.

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La chiusura, tipo Browning modificato, si avvale del vincolo che si crea tra la culatta prismatica e la finestra d’espulsione

La presenza di fusti di differente ergonomia, per di più, garantisce interventi quasi “sartoriali” in modo da accontentare utenti con mani morfologicamente molto differenti tra loro. Un benefit ineccepibile per corpi di polizia e militari, dove l’affidarsi ad un sistema chiuso facilita l’addestramento, la manutenzione e riduce di molto il magazzino di parti di ricambio da mantenere. Un po’ come ha fatto Glock che, sfruttando un unico progetto per sviluppare le sue attuali 26 varianti, è in grado di garantire una compatibilità media tra le parti pari al 76% (si spazia tra il 65 e il 94% a seconda dei modelli).

Unica eccezione riguarda il calibro .45 Acp dove, a causa delle dimensioni della cartuccia impiegata, Sig Sauer ha dovuto disegnare un fusto più largo cui, inevitabilmente, corrisponde un carrello più spesso.

Presentata in ritardo

La P250 è stata disegnata da un team di ingegneri misto tedesco e americano. Per la storia, questi sono Adrian Thomele, Thomas Metzger, Michael Mayerl, Ethan Lessard.

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In questa immagine è visibile il cane, esterno ma sempre abbattuto come si conviene ad un’arma Dao. La tacca, sostituibile per regolare l’altezza del punto d’impatto, funge da tappo posteriore per contenere gli elementi presenti nel carrello-otturatore

Si è detto che fu presentata nel 2004 – dopo essere stata allo studio fin dal 2001 – ma, per una serie di circostanze e per considerazioni di opportunità aziendale, non fu lanciata fino al 2007 e solo in calibro 9 mm; per il .45 Acp dovremo attendere l’anno successivo e addirittura il 2009 per gli altri calibri. Con un ritardo che, a nostro parere, le ha fatto perdere più di un’opportunità. Nel 2004, infatti, la P250 poteva perfettamente definirsi una pistola figlia dei suoi tempi e andava a identificarsi con precisione nelle linee guida ufficiali stabilite in Germania per una pistola adatta agli impieghi di polizia. In quegli anni imperversava la discussione su quale fosse il miglior sistema di scatto di cui dotare le forze di polizia così che potessero agire in massima sicurezza e la Dao sembrava la configurazione ottimale. Il lancio a tre anni dalla presentazione ha forse fatto perdere l’abbrivio al progetto che, se non si è arenato, ha però avuto meno successo di quanto il produttore si aspettasse. L’adozione e il successivo ripensamento di due importanti corpi (Polizia danese e l’americana Fams, Federal Air Marshal Service) non hanno poi contributo a migliorare la fama dell’arma.

Solo doppia azione, senza sicure

La P250, quindi, era ed è pensata per essere utilizzata in sola doppia azione, con un cane sagomato senza cresta il cui profilo non sporge dal carrello. La Dao era ed è considerata, in virtù dell’omogeneità del suo funzionamento dal primo all’ultimo colpo, il miglior sistema specie per personale non estremamente allenato che, in questo caso, non deve gestire il passaggio dalla doppia alla singola azione delle pistole ad azione mista e, soprattutto, si confronta con uno scatto sufficientemente pesante da evitare pressioni meno che volontarie sull’appendice di scatto. Un meccanismo che, in definitiva, trasla il concetto di base dei revolver nelle moderne semiauto

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Lo smontaggio da campo della P250 è molto semplice e non richiede l’impiego di alcun utensile. È sufficiente la rotazione di circa 120° del chiavistello

matiche. Per semplificazione, per di più, la P250 non dispone di alcuna sicura manuale, considerata superflua in un’arma che richiede una pressione di sgancio che si attesta sui 4 kg. È unicamente presente la sicura al percussore, dotazione a nostro avviso indispensabile in qualsiasi arma che si desideri portare al fianco per scopi istituzionali e di difesa. È interessante fare qualche considerazione in merito alla matricolazione dell’arma. Il bel ragionamento che, in Sig Sauer, ha portato a serializzare il modulo di sparo è senz’altro sensato ed efficace in campo militare ma, alle nostre latitudini, con la necessità di provvedere alla numerazione di canna e carrello, rende molto meno vantaggioso il sistema e la sua trasformazione di calibro mediante i kit di conversione disponibili. Questi, per inciso, si chiamano Caliber X-Change Kits e sono formati da canna con relativo guida-molla, carrello-otturatore con mire SigLite Night Sights al trizio, generalmente fornite come accessorio, e caricatore. Il funzionamento è quello classico Browning modificato adottato da molte Sig Sauer, dove il vincolo tra la canna e il carrello è attuato dall’interazione tra la spalla della camera di cartuccia e la finestra d’espulsione, e la rotazione della canna è comandata da un perno cilindrico fissato al telaio piuttosto che da un prisma.

L’allestimento DCc

Ma veniamo all’arma in esame. Questa è l’allestimento DCc, dove la sigla sta per “Defense Concept compact”. Come esprime compiutamente il nome, ci troviamo al cospetto di un’arma compatta dotata di tutti i dispositivi che ne fanno un’eccellente interpretazione della pistola da difesa dei nostri giorni. Lo scatto, come si è scritto, è in sola doppia azione e sul fusto è ricavata una slitta Picatinny che, già un paio di anni dopo la commercializzazione del modello, è andata a sostituire il Rail Integration System proprietario che di molta fortuna non ha goduto.

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Vista della canna, dotata della tipica forma di quelle impiegate nei sistemi modificati dal sistema Browning, e della molla prigioniera di recupero del moto

L’arma, a dispetto del discorso sulla modularità finora espresso, arriva in una conformazione standard che consente la miglior impugnabilità, a nostro parere, da un’ampia platea di potenziali utenti. Le mire prevedono due appendici Combat a 3 punti, con un mirino scorrevole che consente la regolazione laterale del punto d’impatto. L’alzo può essere regolato sia sostituendo il mirino (ne sono disponibili di 6 altezze) che la tacca (3 quelle commercializzate). Come scritto, le mire sono disponibili in versione al trizio. La tacca funge anche da ritegno posteriore delle parti interne (tra queste, il percussore). Il caricatore, bifilare, offre la considerevole autonomia di 15 colpi (non dimentichiamo che parliamo di un’arma compatta, che pure eguaglia per autonomia la full size Beretta 98) e si integra gradevolmente con il profilo inferiore del fusto; ne sono forniti due in dotazione. Il disegno della P250 può piacere o meno (le sue linee squadrate lo fanno molto teutonico) ma è oggettivamente pulito e gradevole.

testo e foto di Matteo Brogi

Sig Sauer P250 DCc cal. 9×21 Imi

Costruttore: Sig Sauer, www.sigsauer.com
Importatore: Bignami, tel. 0471 803.000, www.bignami.it
Modello: P250 Dcc
Tipo: pistola semiautomatica a chiusura geometrica
Calibro: 9×21 Imi
Destinazione d’uso: difesa
Caricatore: bifilare da 15 colpi
Sistema di scatto: sola doppia azione
Percussione: cane esterno, percussore inerziale
Organi di mira: mire sostituibili tipo Combat
Sicurezze: sicura automatica al percussore
Lunghezza canna: 99 mm
Lunghezza totale: 182 mm
Materiali: fusto in polimero, carrello-otturatore in acciaio
Finitura: Nitron per il carrello
Peso: 700 grammi