Sei un tabaccaio calabrese? Meglio se giri senz’armi, te lo dice il Tar

La sezione di Reggio del Tar della Calabria ha respinto il ricorso di un tabaccaio del luogo. Niente rinnovo del porto d’armi per difesa personale.

Non è sufficiente maneggiare grandi quantità di denaro per ottenere il porto d'armi per difesa personale: lo ha deciso il Tar della Calabria.
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Essere titolare di una tabaccheria o di una ricevitoria non è condizione sufficiente per ottenere il porto d’armi per difesa personale. Soprattutto in un territorio contrassegnato da una presenza pervasiva di fenomeni criminali. È il senso della sentenza 273/2017 depositata nelle ultime ore dal Tar della Calabria, sezione distaccata di Reggio. I giudici ritengono che ricoprire un particolare ruolo sociale non basti a legittimare il porto d’armi. Ne deriverebbe infatti “la conseguenza per cui a fasce molto ampie della popolazione sarebbe consentito di girare armate. Con un vero e proprio ribaltamento di fatto di quello che, nonostante tutto, resta e deve rimanere” un principio dell’orientamento statale.

La sentenza: impedire l’innesco di una spirale perversa

Dinanzi alla decisione del prefetto che gli aveva negato il rinnovo del porto d’armi, il tabaccaio aveva ribattuto di avere a che fare con una mole elevata di incassi quotidiani. Tutti in contanti, perché derivanti da somme di piccola entità. E dall’utilizzo delle slot machine che funzionano soltanto con le monete.
Ma il tribunale concorda con il prefetto: non c’è pericolo reale, non sussistono rischi per l’incolumità. Né ci sono state minacce o attentati. A niente è servita l’opposizione del tabaccaio. Di per sé infatti la legge non prevede l’esser vittima di un reato come presupposto.

La legge vuole “impedire l’innesco di una spirale perversa in cui l’aumento, o il paventato pericolo di aumento, di reati contro la persona e il patrimonio, o l’operare di un oggettivo rischio geografico legato alla particolare presenza della criminalità in determinate aree, possano alimentare una generalizzata diffusione delle armi”. In questo modo si rischia di condurre a un “ulteriore aumento dei fatti di sangue“. E questi “costituiscono gravissima turbativa della sicurezza pubblica”. E anche “a un vero e proprio sovvertimento del principio per cui la tutela della sicurezza pubblica e la difesa sociale sono riservati e affidati allo Stato. Tanto più in quelle aree, geografiche e sociali, nelle quali il rischio del ricorso generalizzato all’autodifesa può essere più alto”.
Così parlarono i giudici amministrativi.