Porto di strumenti atti a offendere: la sentenza della Corte costituzionale

Porto di strumenti atti a offendere: la sentenza della Corte costituzionale: lungo coltello, come machete, su ceppo di legno
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La Corte costituzionale ha respinto il ricorso contro l’articolo 4 della legge 110/75 sul porto di strumenti atti a offendere.

È integralmente legittimo l’articolo 4 della legge 110/75, quello che al secondo comma disciplina il porto di strumenti atti a offendere (gli oggetti che, «pur potendo essere all’occorrenza utilizzati per l’offesa alla persona, non sono però deputati a tale fine»); lo ha stabilito la Corte costituzionale presieduta dalla giudice Silvana Sciarra (sentenza 139/2023) considerando infondato il ricorso sollevato dal tribunale di Lagonegro (Pz).

Sul tavolo c’erano le differenti condizioni di punibilità previste per il porto d’una serie di strumenti chiaramente definiti («bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni e sfere metalliche»), che l’assenza d’un giustificato motivo rende automaticamente illegali, e di quelli descritti generalmente come pericolosi senza però che siano «armi da punta o da taglio»; di questi oltre che l’assenza d’un motivo giustificato perché il porto sia punibile è necessario che sia probabile l’impiego per un’offesa alla persona.

Per la Corte costituzionale il ricorso è infondato perché è giusto operare una distinzione tra strumenti tipici e atipici. Quelli nominati in esplicito sono «oggettivamente più pericolosi»; sono infatti prossimi alle cosiddette armi bianche e «più facilmente e con maggior frequenza impiegati per l’offesa alla persona».

Visto cioè che per caratteristiche intrinseche o frequenza di un uso distorto (si pensi «alle manifestazioni violente di piazza») hanno una «particolare attitudine lesiva», è giusto renderne il porto punibile anche se non è detto che siano impiegati come armi.

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