Porto d’armi per difesa ai poliziotti in quiescenza: la sentenza

Porto d’armi per difesa ai poliziotti in quiescenza: tre agenti di spalle
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Per i poliziotti in quiescenza è più facile ottenere il rilascio del porto d’armi per difesa?

Una volta in quiescenza, se richiedono il porto d’armi per difesa i poliziotti «devono essere trattati nello stesso identico modo di qualunque altro cittadino»; oltre a non aver subito condanne automaticamente preclusive, devono quindi anche dimostrare il bisogno di girare armati.

Lo ha deciso il Tar del Lazio (sentenza Tar 17306/23; gli omissis impediscono di capire se nel caso specifico ci si riferisca a un agente o un ufficiale, distinzione di cui s’è a lungo parlato nel momento in cui il governo ha approvato il decreto che consente l’acquisto delle armi non d’ordinanza anche senza licenza: ma per il modo in cui l’argomentazione s’articola appare un dettaglio superfluo) respingendo il ricorso presentato contro il ministero dell’Interno e la questura di Roma.

Per il Tar «l’uso dell’arma in costanza del rapporto di lavoro è funzionalmente e strettamente connesso all’attività svolta [all’interno] della polizia di Stato»; una volta terminata, è pertanto impossibile «attribuirle rilievo» o riconoscere «una posizione differenziata» rispetto agli altri cittadini.

Il poliziotto in quiescenza aveva chiesto il porto d’armi per difesa proprio a causa dei trascorsi professionali; ma la condanna (un anno e due mesi) per lesioni personali e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, in concorso, costituisce un ostacolo insuperabile.

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