Sistemi di sicurezza per collezioni di armi

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Lo spunto per il secondo argomento del nostro approfondimento viene da un quesito posto alla nostra attenzione dal fatto che alcune Questure hanno recentemente chiesto, ai titolari di licenza di collezione di armi comuni da sparo, la produzione di documentazione tecnica sui sistemi di sicurezza per collezioni di armi adottati

La questione merita una trattazione articolata, perché non è così semplice come potrebbe sembrare a una prima lettura. In verità si scontrano problematiche che la legge considera pacifiche, e altre, che possono integrare un vizio sostanziale per eccesso di potere e violazione di legge. Sintetizzando: la Questura chiede di provare più di quanto il collezionista di armi comuni da sparo sia tenuto a fare. Quest’ultimo non è in grado di adempiere compiutamente a tali richieste, perché mancano le norme di legge che prescrivono e illustrano i protocolli di sicurezza. La richiesta di indicare le misure di sicurezza del luogo ove è custodita la collezione di armi è di per sé del tutto legittima. sistemi-di-sicurezza-per-collezioni-di-armi-5Nel concedere tale licenza permanente, il questore può prescrivere misure che il detentore è tenuto a osservare e/o a mettere in atto. Solitamente si richiede un locale idoneo, con armadi blindati, insieme a un sistema di allarme mantenuto in efficienza.sistemi-di-sicurezza-per-collezioni-di-armi-2

Chiedere una documentazione tecnica dettagliata, o una relazione, è fattibile ma non serve a nulla. Perché? La risposta è ovvia: la legge non prescrive i protocolli di sicurezza minimi cui il collezionista dovrà attenersi. E tali protocolli non se li può certo “inventare” la Questura. La legge prescrive solo “misure generiche”, quindi manca ogni criterio di valutazione.

 

I protocolli tecnici di sicurezza

Prendiamo, quale primo esempio, la porta blindata. Le porte blindate necessitano di una certificazione: quelle previste dalla Comunità europea in materia sono ben quattro (Uni Env 1627, 1628, 1629, 1630). La classificazione ufficiale distingue sei tipi di porte blindate, che corrispondono pertanto a sei classi di appartenenza:

classe 1 – è una porta in grado di resistere alla sola forza fisica di chi tenta di aprirla;
classe 2 – resiste ad attacchi esterni per cui si utilizzano attrezzi semplici come cacciaviti, tenaglie, eccetera. Va bene per abitazioni, uffici ed edifici industriali;
classe 3 – è sicura anche contro scassinatori armati di piede di porco. Una porta in questa classe è adatta sia per uffici ed edifici industriali, sia per villette signorili;
classe 4 – resiste a scassinatori attrezzati con scalpelli, martelli, asce, seghetti a mano, trapani elettrici, cesoie eccetera. È adatta a uffici di banche, negozi con merce preziosa, villette signorili isolate;
classe 5 – è una porta pensata per resistere ad attacchi altamente specializzati, come quelli che si possono verificare contro banche o gioiellerie, effettuati con trapani potenti e altri attrezzi elettrici come seghe o mole;
classe 6 – resiste a uno scassinatore esperto che usa anche attrezzi elettrici ad alta potenza. Una porta di classe 6 è adatta a banche, gioiellerie, impianti nucleari, ambienti militari o ambasciate.

Quale di queste tipologie, per la Questura, renderebbe una porta blindata adatta alle circostanze? Non lo dice nessuno e non lo possono dire loro (vizio di eccesso di potere): mancano le norme di legge che prescrivono la classe minima di sicurezza.

Lo stesso ragionamento vale per gli armadi blindati, dove una decina di anni fa è entrata in vigore una normativa europea che ha rivoluzionato in toto la materia. Gli armadi di sicurezza da uso privato sono testati in base alle norme Uni En 144450, mentre per un uso professionale e per le casseforti si dovrebbe applicare la normativa Uni En 1143-1. Il produttore fa certificare  da un laboratorio (l’autocertificazione non è più sufficiente) la rispondenza alle varie classi di sicurezza, e allega copia della certificazione a ciascun prodotto. Il collezionista non deve far altro che fotocopiare tale documento e mandarlo alla Questura. Anche qui – però – non esiste alcuna norma di legge che ci dice che per forza dobbiamo comprare un determinato tipo di armadio blindato, che abbia specifiche resistenze allo scasso, al fuoco, al taglio. Quindi basta usare il buon senso e dotarsi di un contenitore certificato: basterà alla Questura? E se non dovesse bastare, in base a quali considerazioni opporrà il diniego? Anche qui si può prefigurare (in linea teorica, al momento) un vizio per eccesso di potere e la violazione di legge.

Per i sistemi di allarme, il riferimento è alle nuove norme Cei 79-3 del 2012, allineate alla normativa europea. Per ragioni di spazio editoriale invito tutti gli interessati a leggersi le note esplicative al seguente link http://www.secsolution.com/articolo.asp?id=157. Come si vede la questione è di estrema complessità tecnica, ma questo riguarda più che altro l’installatore. A dire il vero riguarda anche l’utente, che potrebbe pagare un conto davvero salato. Al di là di tali considerazioni: anche qui non esiste una norma di legge a imporre una determinata complessità o sofisticazione al sistema di allarme. Dunque il collezionista farà installare un comune impianto, che offrirà una sicurezza per un contesto abitativo residenziale. Almeno uno dei sensori  connessi alla centralina sarà di tipo con ampio campo volumetrico di rilevazione, e verrà posizionato in modo da coprire le aree dove sono custodite le armi in collezione. Come ultima raffinatezza si potrebbe aggiungere un combinatore telefonico (occhio alle interferenze con sistemi informatici e wifi) e chiedere il collegamento con le Forze di polizia.

Tiriamo le somme sui sistemi di sicurezza per collezioni di armi

Concludendo: il collezionista si deve attenere alle prescrizioni della Questura, ma questa non può imporre livelli di sicurezza (quindi oneri e spese) come se ci fosse da proteggere una base Nato o un sito nucleare. L’articolo 20 legge n. 110/1975 parla di “adottare e mantenere efficienti difese antifurto secondo le modalità prescritte dalla autorità di P.S.”. Ad oggi non esiste alcun regolamento attuativo, o altra fonte di legge, che imponga al collezionista di trasformare la propria abitazione in un caveau o in un bunker anti-atomico. La norma, come sempre,va interpretata cum grano salis opponendosi a ogni eccesso che risulti arbitrario o irragionevole.

dell’avvocato Fabio Ferrari