La Walther P38 e le sue varie declinazioni

La Walther P1 con il suo fodero di servizio

La Walther P38 è una pistola tedesca che, nel bene e nel male, ha fatto la storia vivendola in prima persona, con circa cinquant’anni di presenza nel Vecchio Continente, e fissando alcuni punti base per le armi corte militari moderne

Primo piano del chiavistello per lo smontaggio di campagna. Guardando le scritte (nel caso specifico è una P1), possiamo vedere mese e anno di produzione dell’esemplare (febbraio 1977)

Niente da dire: quando i tedeschi vogliono fare qualcosa nel mondo delle armi, lo fanno bene. La Walther poi, per quello che riguarda le pistole, è stata veramente grandiosa. Ma andiamo con ordine. Se fino agli anni ’30 gli alemanni consideravano le armi corte poco più che giocattoli (meglio se costosi e complicati, perché più pregiati), in quegli anni “vedono la luce” e decidono di dotarsi di pistole che siano anche pratiche. La prima è stata la Pp, molto apprezzata soprattutto dalle forze di polizia. A questo punto però bisognava soddisfare le esigenze dell’esercito che, giustamente, preferiva un’arma da fianco più potente (anche perché in divisa l’occultabilità dell’arma è assolutamente inutile); doveva essere più economica e funzionale della P08, tanto affascinante e precisa quanto complicata, fragile e dedita all’inceppamento. Nel 1936 viene alla luce il modello Hp, che sfocia poi, con qualche piccola modifica (vedi box2 sulle versioni) nella P38. L’importanza di questa pistola è in alcuni capisaldi che ha fissato nella storia della categoria, prendendo anche ispirazione da altre armi, raggruppando il meglio delle soluzioni offerte dal mercato.

L’indicatore di arma carica non lascia dubbi, né alla vista né al tatto

Scatto in doppia azione: permette di semplificare l’addestramento, rende il colpo disponile ma in sicurezza; era già una caratteristica adottata con la Pp e la Ppk, che è stata particolarmente apprezzata e riproposta (si pensi che questo genere di scatto è stato il preferito fino all’avvento delle Glock e delle altri pistole con i cosiddetti scatti in semi-doppia azione);

per una maggiore affidabilità il carrello è stato lasciato aperto nella porzione del cielo: lo sporco entra anche nei carrelli chiusi, ma in quelli aperti è più facile che esca. Qua la musa ispiratrice è l’italiana Beretta, che lo impiegava già da anni;

la sicura con abbatticane: anche qua si è adottato lo stesso sistema Pp/Ppk, particolarmente gradito per la sua semplicità e sicurezza;

il sistema a blocchetto oscillante: semplice ed economico, permette un’ottima precisione (la canna ha moto rettilineo) contenendo gli aggiustaggi manuali a tutto vantaggio del risparmio senza incidere sulla qualità di tiro; verrà infatti utilizzato da Beretta nei modelli 51 e 52, che si evolveranno poi nella famosissima e diffusa serie 92.

Uno dei capisaldi fissati dalla P38: il castello aperto per diminuire i rischi di inceppamento

Particolare poi raramente riproposto invece è quello della doppia molla di ritorno, che distribuisce perfettamente il carico, garantendo un movimento fluido e privo di torsioni; altro dettaglio che mai è stato copiato è quello dell’espulsione sinistra del bossolo spento: caratteristica che non ho mai compreso del tutto, pare che fosse dovuto alla tradizione militare della carica con sciabola nella destra e pistola con la sinistra.

 

Tiriamo le somme

La Walther P38 è una pistola perfetta? Assolutamente no: l’arma si impenna parecchio per via della volata leggera, il cambio del caricatore è lento (essendo posto alla base dell’impugnatura), e la capacità di fuoco è (relativamente) limitata agli otto colpi del serbatoio monofilare. Ma è comunque nata talmente bene da essere sopravvissuta per 50 anni più o meno immutata e, per quanto oggi ci sia di meglio, alcune caratteristiche la rendo comunque perfettamente utilizzabile. Se devo aggiungere una caratteristica per cui la amo particolarmente è l’ergonomia dell’impugnatura, veramente perfetta per la mia mano.

 

 

<BOX 1>

I diversi costruttori della P38 e le loro sigle

Nel periodo bellico, visto le pressanti richieste, furono diversi i produttori di armi che si dedicarono alla costruzione della P38; ad ogni produttore era affibbiata una sigla. Vediamoli un po’.

Walther: l’azienda madre; allo storico stabilimento di Zella Mehlis venne assegnata la sigla AC.

Mauser: anche loro abbandonarono la P08 (Luger) per costruire la P38, con la storica sigla Byf (poi divenuta Svw).

Venne infine incaricata anche la Spreewerke GmbH con le sigle Cxq e Cvq.

 

 

 

<BOX 2>

Le varianti della P38

Queste le principali evoluzioni della P38.

Hp: Heeres Pistole (pistola di ordinanza) la capostipite, proposta sia sul mercato civile che a quello militare. Non differisce molto dalla versione definitiva, se non per le guancette (in legno anziché in bachelite) e per il diverso sistema di sicura (più efficace ma più costoso) in cui il percussore veniva trascinato in avanti dalla leva per impedire che il cane lo toccasse in fase di abbattimento; quando nel 1938 venne adottato il progetto definitivo, non essendo ancora pronti alla costruzione, i primi 1.500 esemplari di P38 avevano lo stesso sistema di sicura della Hp.

P38: P di Pistole e 38 l’anno di adozione. È la versione ufficiale e definitiva, ovviamente in 9 mm Luger, poche calibro .30 Luger (per il mercato civile e per quelli in cui il 9 mm è vietato), più una rara versione in .22 Lr per l’allenamento.

P1: la versione adottata dalla Repubblica Federale tedesca nel 1957 (usata anche per le fotografie di questo articolo), uguale in tutto e per tutto al modello originale (se non per il fusto in lega leggera). Oggi molto diffusa, in quanto si trovano esemplari a prezzi ragionevolissimi in condizioni eccellenti. Per chi vuole sparacchiare con una pistola ex militare, senza svenarsi, è una scelta molto razionale.

P4: versione per il mercato civile approntata dalla Walther di dubbia utilità; uguale alla P1 (fusto in lega leggera), ma con canna leggermente più corta (100 mm conto i 115 della P38); altra piccola differenza è la sicura: persiste solo quella automatica al percussore, mentre la leva funge solo da abbatti-cane.

P38K: la P38 non è particolarmente bella, ma ha il suo fascino e le sue proporzioni; questa versione invece, è veramente di una bruttezza imbarazzante (come si evince dalla fotografia), con la sua canna cortissima di 70 mm, che ha costretto tra l’altro a collocare il mirino sul carrello; per il resto le caratteristiche salienti sono le medesime della P4. Alcune fonti sostengono che sia nata per un progetto militare che prevedeva l’impiego di un silenziatore: in questo modo era possibile avvitarlo direttamente sullo spezzone di canna che protrude, senza l’intralcio del mirino, contenendo gli ingombri e dovendo lottare meno per ottenere delle munizioni subsoniche.

P39: dell’esercito svedese; è una banalissima P38, ma che ha assunto questa denominazione per il suo anno di adozione.

 

 

 

<BOX 3>

Quante P38 sono state costruite?

La domanda che si pongono tutti i collezionisti. Per questa pistola il quesito non avrà mai una risposta certa: alla fine della Seconda guerra mondiale l’archivio Walther venne saccheggiato, e i registri della P38 scomparirono quasi integralmente. Si presuppone comunque che vennero costruiti un milione di esemplari.

 

 

 

<BOX 4>

Gli strafalcioni giornalistici

Purtroppo i giornalisti di cronaca raramente hanno una gran cultura in fatto di armi: più di una volta ho sentito ai Tg di un attentato eseguito con la micidiale “Berretta P38 Special”: classico esempio in cui si spera di cogliere qualcosa tirando nel mucchio. Si sommano quindi tre nomi più o meno sentiti qua e là ma non capiti; quindi: si cita la solita Beretta (storpiata in versione “copricapo”), si butta la arcinota P38 (e qui dimostra quanto sia conosciuta), con un’aggiunta di Special (probabilmente per assonanza con 38). Sembra una gag del principe De Curtis ma, purtroppo, si sentono veramente.