Armi: omessa custodia e incauto affidamento

Voglio qui proseguire l’argomento del blog di metà dicembre, dove avevamo accennato all’art. 20 bis della legge n° 110/1975. Tale norma fu introdotta solo con la legge 12 luglio 1991 n. 203 (misure urgenti in materia di lotta alla criminalità organizzata): non si può fare a meno di notare come le norme che riguardano i possessori legittimi di armi, ponendo pene severe di rango penale, siano state introdotte in modo totalmente errato, proseguendo quella prassi di “legislazione dell’emergenza” che ebbe origine con il fenomeno del terrorismo e (successivamente) delle stragi di mafia.

In effetti è difficile pensare a una pertinente connessione – pur debole – tra il contenuto dell’art. 20 bis legge n° 110/1975 e la lotta alla criminalità organizzata.
Questo perché i destinatari della norma sono:

a) i minori di anni 18 che non posseggano licenza;

b) persone incapaci, anche parzialmente. Un vizio parziale di mente, che sia riconoscibile perché evidente, altrimenti dovremmo essere medici specialisti e psichiatri per individuarlo, e forse neppure questo sarebbe sufficiente;

c) tossicodipendenti (valgono le medesime considerazioni, soprattutto con riferimento ai consumatori cosiddetti occasionali di marijuana, cocaina e sostanze sintetiche);

d) persone imperite nel maneggio. Cosa vuol dire nessuno lo sa: tutti coloro che posseggono un porto d’armi hanno in qualche modo ottenuto un’abilitazione, ma la perizia si mantiene con un allenamento costante, mentre la legge non prescrive alcuna attività di obbligo, tranne che per ristrette categorie quali le Gpg. Questo è un argomento spinoso, sul quale sarebbe bello intavolare una discussione schietta con i lettori. In tanti pensano che la soluzione migliore e meno pericolosa per “l’ordine pubblico” (quando mancano argomenti validi ci si riempie la bocca con l’ordine pubblico) sia quella di comprare un’arma e lasciarla in cassaforte ad arrugginire.

Poi la legge si permette di richiamare il concetto di perizia: andate a leggere su un qualsiasi dizionario il suo significato e capirete che molti titolari di licenza e possessori di armi sono “imperiti” per definizione. Non per nulla legislazioni che sottendono cultura in materia di armi più seria della nostra, prevedono periodici qualifying course per mantenere taluni tipi di licenza: si va al poligono (qualsiasi poligono, non solo al Tsn) e si dimostra, arma alla mano, di saper sparare e maneggiare la pistola o il fucile rispettando almeno le regole di sicurezza elementari.

Chiudo la parentesi, senza verve polemica, e torno all’art. 20 bis della legge n° 110/1975.

Il concetto di affidamento incauto delle armi – espresso nel primo comma – si tramuta in concetto di custodia delle armi nel comma seguente:
“Chiunque trascura di adoperare, nella custodia delle armi, munizioni ed esplosivi di cui al comma 1, le cautele necessarie per impedire che alcuna delle persone indicate nel medesimo comma 1 giunga ad impossessarsene agevolmente, è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a euro 1.032”.

Anche qui il vero problema, più volte evidenziato, è che la legge enuncia solo il principio generale di condotta, senza dettare o suggerire in concreto quali siano le cautele necessarie. Cautele che devono essere desunte dalla casistica giurisprudenziale, quanto mai varia e ondivaga.

Cosa resta escluso dalle previsioni dell’art. 20 bis?

Gli esplosivi che sono classificati come giocattoli pirici, per espressa dizione; tutto quanto non rientra tra le previsioni dell’art. 2 legge 110/1975 comma primo e secondo, per richiamo. Resta qualche dubbio, da risolvere ricorrendo al buon senso, circa il concetto di “munizioni”: si dovrebbe correttamente intendere la munizione finita, la polvere da sparo, e probabilmente anche gli inneschi; non i bossoli e i proiettili che, quando non assemblati, sono semplici parti metalliche inerti.