Detenzione di munizioni in sovrannumero: la sentenza

Detenzione di munizioni in sovrannumero: tre proiettili da pistola su sfondo nero
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Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso d’un cittadino romano cui, per la detenzione di tre munizioni in sovrannumero rispetto a quelle denunciate, la prefettura aveva revocato la licenza.

Non va preso come un precedente, e dunque l’imitazione è sconsigliata, ma la sentenza 12512/2023 del Tar del Lazio potrebbe aprire un nuovo capitolo nella storia della normativa sulla detenzione di munizioni in sovrannumero; è andato infatti a buon fine il ricorso d’un cittadino romano contro la decisione della prefettura che aveva disposto la revoca della sua licenza dopo che nel 2013 durante un’ispezione domiciliare insieme a una pistola Beretta regolarmente detenuta gli agenti avevano trovato tre proiettili calibro 9×21 in più rispetto a quelli denunciati. Era inoltre saltata fuori una pistola Browning 6,35 priva di proiettili, ereditata dal padre defunto che l’aveva regolarmente denunciata, detenuta «per mera affezione».

Per la prefettura un «comportamento superficiale» di questo tipo identifica di per sé «la scarsa affidabilità nella custodia delle armi»; è dunque «sufficiente a legittimare [l’applicazione] dell’articolo 39 del Tulps».

Ma i giudici del Tar la pensano diversamente. Prescritto il reato, l’uomo non ha mai riportato le condanne che il Tulps ritiene automaticamente preclusive; e, scordandosi che deve investire «lo stile di vita nel suo complesso», la prefettura non ha adeguatamente motivato il giudizio d’inaffidabilità.

Oltre a basarsi su «motivazioni congrue», la discrezionalità che la legge lascia all’amministrazione «deve infatti essere esercitata in coerenza con la situazione di fatto». Ma nessuno dei comportamenti rilevati è di per sé «complessivamente indicativo di scarsa affidabilità nella custodia» delle armi; la vecchia pistola del padre era infatti detenuta senza munizioni; e, considerato il numero esiguo, la presenza di proiettili in più rispetto a quelli denunciati «non comprova il pericolo d’abuso delle armi».

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