Manurhin Walther PPk cal. 7,65 mm: Je suis Bond, James Bond

La lingua francese è più che mai indicata per iniziare la disamina di questo esemplare – la Manurhin Walther PPk cal. 7,65 mm – della pistola resa famosa al grande pubblico dai film che narrano le avventure dell’agente segreto inglese, costruito su licenza nelle alte valli del Reno; ora vediamo i perché di questa collaborazione

La pistola con cane abbattuto tramite la sicura: per chi avesse dubbi, un nottolino imperniato sulla leva impedisce meccanicamente al cane di raggiungere il percussore. Si noti anche la pulizia dei piani e delle scritte

Correva l’anno 1929 quando la Walther mise in produzione la prima pistola tedesca veramente “pratica”; se, infatti, per le armi lunghe la produzione teutonica era assolutamente all’avanguardia (sia a livello progettuale sia balistico), riguardo alle armi corte avevano ancora una concezione elitaria e estetica.

Agli ufficiali erano riservate le spettacolari Luger: meravigliosa pistola per il tiro a segno e una libidine per gli occhi con la sua meccanica a ginocchiello (addirittura sensuale, nelle sue forme), ai pochi altri che ne avevano diritto (poliziotti, soprattutto) delle pur belle ma insignificanti 6,35. La Walther Pp (che sta, non a caso, per Pistole Polizei) segna la svolta: arma, seppur semplice, splendidamente realizzata, precisa ed efficace, e soprattutto moderna. Alcune soluzioni all’avanguardia sono tutt’ora un must per questo genere di armi e non solo: doppia azione mista, sicura con abbatticane, sicura automatica al percussore, sgancio del caricatore al ponticello, indicatore di arma carica. Disponibile in tre camerature: 7,65 Browning, 9×17, .22 Lr (priva di segnalatore di colpo in canna); per un brevissimo periodo offerta anche in 6,35 Br. Solo tre anni dopo viene alla luce la Ppk: le prime due lettere hanno lo stesso significato del modello progenitore, ma la K non sta per Kurz (corto), come si potrebbe immaginare, bensì per Kriminal, essendo studiata e realizzata per la Kriminal Polizei tanto nota a e famigerata nell’era nazista (conosciuta anche con l’acronimo di Kripo): forze che lavoravano sempre in borghese, e che avevano quindi l’esigenza di un’arma tascabile o, quanto meno, che potesse essere celata sotto gli abiti civili. La pistola oggetto di queste note è quindi più compatta rispetto alla Pp: la lunghezza totale passa da 162 a 148 mm, e si perde la capacità di un colpo nel caricatore (da 8 si passa a 7). Con l’arma vengono forniti due caricatori: uno con pad maggiorato per l’appoggio del mignolo (e un conseguente maggior comfort di tiro) e l’altro invece completamente piatto, per minimizzare gli ingombri. Altra differenza tra la Pp e la Ppk, è che quest’ultima ha un’impugnatura che avvolge completamente il dorso della pistola, invece di avere due guancette separate: con questa soluzione si riescono ad avere guance ancora più sottili, risparmiare sul peso (non dimentichiamo che il fusto è in acciaio), e questo pur essendo una delle impugnature più comode da afferrare con la mano. Per contenere l’ingombro laterale, non è presente la leva dell’hold-open: il carrello rimane aperto all’ultimo colpo ma, per poterlo richiudere, è necessario sfilare il caricatore vuoto (oppure inserirne uno pieno) e tirarlo indietro di pochi millimetri per rilasciarlo; in una pistola sportiva sarebbe un grave handicap, in una da difesa, sinceramente, è tanta manna: se il problema non è stato risolto con i primi sette colpi, difficilmente si avrà tempo di esploderne altrettanti. Per contro, oltre ad essere più portabile ed indossabile, avremo meno possibilità di impuntamenti in fase di estrazione e meno probabilità di inceppamento (ciò che manca non può né rompersi né interferire).

 

La storia della Manurhin

Recita un vecchio adagio: “quando si chiude una porta, si apre un portone”. Spesso è vero; nel caso specifico è stato vero per qualcun altro. Conclusasi la Seconda guerra mondiale con la disfatta tedesca, la Walther era nella completa impossibilità (fisica e legale) di soddisfare i numerosissimi ordini relativi ai modelli Pp e Ppk. In breve tempo riescono a chiudere un contratto di licenza con la francese Manurhin (che sta per Manufacture de Machine du Haut-Rhin, ovvero Manifattura Macchinari dell’Alto Reno), affinché le potessero costruire in loro vece. Per oltre un decennio l’azienda francese ha avuto l’opportunità di sfruttare questo progetto eccellente e lo ha fatto con una tale maestria che sono ancor oggi considerate tra le migliori realizzazioni di quest’arma: del resto, poco dopo la sua introduzione, lo sforzo bellico in cui si era impegnata la Germania di Hitler non consentiva molte raffinatezze costruttive, tanto che, negli anni ’40, venne eliminato l’indicatore di arma carica, considerato inutile frivolezza. Non solo: l’altissima specializzazione raggiunta ha fatto sì che la Manurhin fosse, per tutti gli anni ’60, un fornitore esterno della stessa  Walther, alla ripresa della sua produzione; e, tra l’altro, proprio le royalty incassate grazie alle piccole pistole prodotte dall’azienda francese hanno aiuto non poco la riapertura dei battenti della fabbrica tedesca.

 

Tirando le somme

Lo smontaggio della Ppk è quantomai semplice: basta estrarre il ponticello incernierato e incastrarlo sul fusto, arretrare il carrello e sfilarlo dal davanti

Chi ha la fortuna di possedere uno di questi cloni autorizzati, ha per le mani una pistola rifinita in maniera impeccabile: piani tirati a specchio, bruniture profonde e scritte nettissime (anche se un po’ troppo ridondanti per i miei gusti). Di solito erano presentate in scatole di cartone stampato con un disegno “finto coccodrillo” molto piacevole; spesso il manuale di istruzioni era quello originale Walther in quattro lingue (tedesco, francese inglese e spagnolo). Unico dettaglio veramente sotto la media erano le guancette con una pacchianissima scritta Manurhin: motivo per cui quelle dell’esemplare fotografato sono state sostituite con delle originali in bachelite nera della Walther, con il suo bel banner che campeggia. Del resto l’arma accetta qualsiasi accessorio studiato per la pistola originaria. Cosa altro aggiungere: è stata analizzata una pistola che, pur non avendo meccanicamente nulla di straordinario (classico sistema di chiusura a massa), ha segnato un’epoca (e si pensi che è in produzione ancor oggi). Eppure, per un certo periodo, è stata salvata dal nemico storico della Germania, e poi resa nota al grande pubblico da un immaginario agente segreto, devoto alla Corona inglese. Le ironie del destino…

 

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I vari cloni

La Pp e la Ppk sono state riprodotte (con licenza legale o “pirata”) in svariati Paesi e varianti. Oltre a quella presentata, è giusto ricordare l’ungherese Feg, la Norinco con la sua Ppn, l’americana Interarms co. (che le costruiva in acciaio inossidabile). Di fortissima ispirazione per la Makarov russa ed ancor di più per la Pms in calibro 5,45: la sottilissima pistola degli agenti Kgb.

 

 

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La Pp Super

Abbastanza rara e non particolarmente fortunata versione appositamente studiata nel 1974 per sparare la cartuccia 9×18 Police, per conferire un quid in più di energia. Caduta nell’oblio con l’uscita delle P5.

 

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La Ppk/S

S sta per Special: è nata nel 1968 per aggirare una complicazione legislativa imposta dal Batf (il famigerato Bureau of Alcol Tobacco and Firearms americano), che aveva stabilito un ingombro minimo di 4” (poco più di 10 cm) per l’altezza delle pistole. Visto che la Ppk, il modello più richiesto, aveva un ingombro di 3,9”, per soddisfare la legge ed offrire comunque un modello compatto, si è deciso di mettere in produzione questo medley tra il carrello della Ppk e l’impugnatura leggermente più lunga della Pp, per non rinunciare a un mercato chiaramente molto appetitoso.

 

 

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James Bond e la Ppk

Pronti via: nel primo film dell’agente segreto più famoso del mondo (“Dottor No” in lingua originale, tradotto in italiano in “Licenza di uccidere”) a James Bond viene affidata con doviziosa descrizione una Walther Ppk in 7,65 Browning e dell’efficacia della munizione (scolpita nella memoria la particolarissima frase “come un mattone attraverso la finestra”). Peccato solo per la pronuncia della W di Walther morbida (all’anglosassone, simile ad una U per intenderci ), anziché alla tedesca (aspra), ma poco male. Chissà poi se era una pistola tedesca (il film è del 1962, quindi la produzione era appena ricominciata), oppure se era una Manurhin: in fondo, se l’agente segreto aveva la licenza di uccidere, l’azienda francese aveva quella di costruire…